Progetto Educativo in ospedale con i bambini talassemici — 8 dicembre 2015

Progetto Educativo in ospedale con i bambini talassemici

percorsi

(Fotografia scattata durante il Progetto Educativo)

Ogni evento stressante costituisce un trauma che chiama in causa una molteplicità di implicazioni cognitive, affettive, sensoriali, comportamentali e ciò si verifica ancor di più quando il soggetto coinvolto è in età infantile.
La malattia cronica in particolar modo, compromette tutte le componenti e le dimensioni dello sviluppo, dell’affettività, dell’apprendimento, dal gioco all’alimentazione, all’igiene personale, tutti sconvolgimenti questi che mettono a dura prova il desiderio di crescere e di socializzare (Mattson, 1972; Biondi, 2005).

news_53069_ospedale_cervelloDetto ciò, è importante sottolineare che questo articolo è frutto di un’esperienza pedagogica personale avvenuta all’interno del reparto di Ematologia II dell’Ospedale Cervello di Palermo con i bambini talassemici. A mio avviso è opportuno però che ancor prima di scrivere dal punto di vista pedagogico, possiate leggere in linee generali cosa sia la talassemia, quali siano le terapie da effettuare e come siano predisposti gli spazi riguardanti la struttura ospedaliera in cui è avvenuta l’esperienza pedagogica.

La talassemia  è una malattia genetica dovuta alla carenza di emoglobina, la proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno nel sangue. Quando l’ematologo attraverso delle indagini specifiche riscontra la malattia, l’unica terapia possibile al momento (a parte alcune cure in fase di sperimentazione) è la trasfusione di sangue che si effettua ogni 15 giorni circa in day hospital, tranne nei casi in cui i piccoli debbano sottoporsi a esami specifici e dunque hanno bisogno del ricovero in degenza (cliccare qui per un approfondimento sulla talassemia).
corridoioL’edificio e gli spazi del reparto sono adeguati alle diverse esigenze dei pazienti e le pareti sono colorate, al punto tale che riescono quasi a creare l’illusione di non essere in un ospedale. Inoltre vi è la presenza di una piccola ludoteca e di una stanza pediatrica a misura di bambino con giocattoli e strumenti vari( cancelleria, libri, ecc…).
In base a quanto descritto è necessario comprendere che il vissuto stressogeno della malattia varia notevolmente in base all’età del paziente. I soggetti coinvolti all’interno del progetto pedagogico che ho svolto all’interno del reparto erano sei, tre maschi e tre femmine, di età compresa tra gli otto e i dieci anni.
In questa fascia d’età dello sviluppo i bambini sono in età scolare e nei soggetti con malattia cronica si può delineare una sorta di inibizione intellettiva con ripercussioni disastrose sul piano dell’apprendimento, spesso mascherate dall’iperprotettività dei genitori e insegnanti (Ibidem). È pur vero però che le reazioni variano notevolmente in base al carattere individuale del soggetto, per esempio una maturità psicologica più elevata rispetto all’età biologica, può far sì che si accetti meglio la malattia (Guarino, Lopez, D’Alessio, 2005).
Tuttavia il pedagogista ancor prima di elaborare e progettare qualsiasi intervento educativo deve confrontarsi con tutta l’équipe costituita anche da medici, infermieri, psicologi ed assistenti sociali, affinché conosca l’ anamnesi di ogni paziente. Dopo aver appreso queste informazioni, la fase successiva che il pedagogista affronta è la conoscenza dei bambini con cui intraprenderà la terapia educativa prima attraverso un colloquio per conoscersi, successivamente l’inquadramento delle capacità dell’educando, dei suoi bisogni e dei suoi interessi.
Quindi si attua il Piano Educativo Individualizzato (P.E.I) per ogni paziente facente parte del progetto educativo, individuando le attività da far svolgere, gli obiettivi, le finalità educative, i tempi e gli spazi, tenendo conto dei giorni in cui si reca in reparto per le relative terapie. È ovvio che giorno dopo giorno, con l’osservazione diretta e l’ascolto attivo del pedagogista verso il paziente (Rogers, Gordon), la progettazione dovrà essere modificata in base agli imprevisti e/o al cambiamento della valutazione iniziale e/o al cambiamento degli interessi e in ciò sarà fruttuosa la creatività del terapeuta.

Durante la progettazione ci si concentra su dei nuclei di operatività (Bandura 1997), cioè le tipologia di attività esistenti, che per questo tipo di contesto sono:

a) la narrazione: il narrare di sé consente al bambino di ricostruire ciò che sta vivendo, definendo i possibili cambiamenti, gli esiti raggiunti e quelli da raggiungere. Si utilizza soprattutto a scopo terapeutico quando ci sono situazioni di passività e non reazione; inoltre l’elaborazione di storie, consente di produrre cultura esprimendosi inconsciamente;
b) la simbolizzazione/rappresentazione: questa tipologia di attività consiste nel far sì che i bambini possano giocare simbolicamente. Esso mette insieme la valenza educativa e di sviluppo dell’attività ludica con la potenza del processo di simbolizzazione, attraverso il quale il reale acquista infiniti orizzonti, passando dal reale possibile al possibile reale. Le attività che si sperimenteranno permetteranno di rielaborare sentimenti negativi come ansie, paure e tensioni, attraverso il semplice gioco del dottore, o mediante il gioco dei burattini.
c) la creazione/progettazione: attraverso ciò si offre uno stimolo costante ad immaginare, progettare e costruire oggetti con le proprie mani, attivando le diverse dimensioni del sé (cognitiva, corporea, sociale, emozionale); consente al minore di avere la prova di essere bravo e di tirar fuori attraverso l’empowerment (Piccardo, 2001) ciò che non sa di possedere.
d) l’espressione/comunicazione: scelta di attività attraverso l’uso di tutti i linguaggi, consente l’attivazione di scambi, interazioni e relazioni che consentono la co-costruzione di significati attraverso l’ascolto attivo (Gordon, 1979), cioè una tecnica tanto semplice quanto indispensabile per la buona comunicazione. Chi ascolta riflette il contenuto del messaggio dell’altro restituendoglielo con parole diverse. Questo permette di verificare se il messaggio così come lo si è compreso è corretto. L’ascolto attivo non rimanda solo il contenuto verbale del messaggio, ma riflette i sentimenti espressi dal comunicante e percepiti dall’ascoltatore; o sia il contenuto emotivo.
e) la metacognizione (Premark): cioè la conoscenza e la riflessione sul nostro mondo interno. L’attivazione dei processi metacognitivi prende in carico la sua esperienza e promuove lo sviluppo di conoscenze e capacità funzionali;
f) l’esperienzialità: quest’ultimo consente l’integrazione di tutte le dimensioni del soggetto e mette in moto processi funzionali allo sviluppo, da quelli logici a quelli analogici, a quelli fantastici, alla possibilità di esplorare e giocare al gioco dell’altro.

ludotLa progettazione ha una programmazione mensile di attività suddivise in laboratori, ad esempio nel progetto educativo relativo al reparto di Ematologia II, si è compresa l’esigenza di elaborare cinque laboratori: creativo, cinema, del gioco simbolico, tecnologico e sociale, che si sono realizzati all’interno della ludoteca con la durata di quattro ore per ogni incontro. Questo momento è stato molto importante (Guarino, Lopez e D’Alessio 2005), perché il contatto e il confronto con il gruppo dei pari ha aiutato i bambini a controllare gli stati d’ansia e di paura. Quando ciò non è stato possibile, hanno interagito con dei gruppi composti da adulti, adolescenti o bambini più grandi o più piccoli. Le attività si sono svolte in ludoteca con la trasfusione di sangue inserita per via endovenosa, perciò è stato fondamentale che i medici e gli infermieri monitorassero la procedura.
In alcuni casi oltre alle attività pedagogiche in concomitanza ci sono stati il supporto psicologico e quello didattico in ospedale. In un caso specifico per un sospetto di dislessia fu creato un progetto coinvolgendo la scuola in ospedale, la psicologa e l’assistente sociale. Dopo un’indagine accurata si è compreso che la vera motivazione della non resa didattica derivasse da una carenza affettiva e socio-culturale da parte dei genitori. Un utile strumento usato dall’équipe multidisciplinare è stato il diario bordo, in cui si annotavano le relative novità in base alla tipologia dei casi.
Pertanto il bambino che si ritrova a vivere e che deve imparare a convivere con la malattia cronica ha bisogno di contesti e spazi che siano confacenti alla sua età. Quindi l’attività educativa e ludica del gioco infantile, risulta di fondamentale importanza per un percorso sereno di crescita per non compromettere così la dimensione corporea, cognitiva e affettivo-relazionale. Il pedagogista accompagnerà i bambini verso la co-costruzione del loro benessere psicofisico non dimenticando la loro sofferenza.
Egli educa a costruire degli stimoli partendo dalla situazione di sofferenza del paziente per poter potenziare in modo positivo la sua esperienza.
Molto importanti nel progetto educativo sono i genitori (o chi ne fa le veci) con cui il pedagogista dovrà attuare un’alleanza conquistando la loro fiducia con la possibilità di poter partecipare durante le attività educative, in cui inoltre si possono fornire dei suggerimenti affinché loro stessi imparino ad agire in modo consono quando è necessario.
Lavorando in questo modo, il luogo ospedaliero diviene un contesto per promuovere la resilienza cioè la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà (Mascarin 2002), verso l’acquisizione di coping funzionali (Holahan e Moos, 1994; Klapow et. al., 1995), cioè l’adattamento a situazioni stressanti utili ad impedire fenomeni disfunzionali come l’ansia, la depressione e altri fattori di rischio psicosociale. Utile focalizzarsi anche sull’empowerment cioè recuperando, valorizzando e potenziando la dimensione personale di ciascuno, attraverso il senso di autodeterminazione e dunque la percezione di avere autonomia rispetto alla situazione e al contesto e sul senso di autoefficacia che è la capacità di mobilitare le proprie risorse affettive e cognitive per mettere in atto comportamenti utili alle necessità o agli obiettivi preposti (Piccardo C. 2001).

personebisPer tutti questi motivi sarebbe fondamentale che l’ospedalizzazione pediatrica e non risultasse confacente all’età del paziente ottimizzando un lavoro di équipe multidisciplinare incentrato sulla qualità della vita della persona.

La mia opinione che da sempre sostengo è: un bambino che non gioca e non sorride sarà in futuro un adulto che non saprà vivere.

D’altronde come tramandato da Lao Tzu (figura leggendaria della filosofia cinese): il gioco è la medicina più grande.

Sardo Giorgia

Bibliografia

– Bobbo Natascia, Bambini in ospedale. Riflessioni pedagogiche e prospettive educative, Padova University Press, 2014
– Concetta Polizzi, Giovanni Perricone, Il processo educativo nell’ospedalizzazione pediatrica, Franco Angeli, 2006

Per un ulteriore approfondimento sull’esperienza svolta cliccare qui

Sitografia:
– Libreria universitaria: http://www.libreriauniversitaria.it/pedagogia-corsia-gioco-drammatizzazione-ospedale/libro/9788877963710
http://www.focus.it/scienza/salute/che-cose-la-talassemia
http://www.pieracutino.it/cosa-e-la-talassemia
-http://www.colorstime.com/comunicazione-efficace-il-metodo-gordon